—SUPERVISIONE— con percorsi strutturati ad hoc per singoli operatori, gruppi di lavoro ed equipe operanti nel sociale

La supervisione clinica centrata sul caso

La supervisione clinica centrata sul caso - Dott.ssa Marzia Basei

La proposta di supervisione agli operatori che lavorano nel sociale, nasce dalla consapevolezza di quanto sia complesso, faticoso e emotivamente carico il lavoro in questo ambito. Ecco che allora diventa necessario creare un luogo ed un tempo in cui gli operatori abbiano la possibilità di esplicitare i propri vissuti e condividere le difficoltà che caratterizzano il proprio agire quotidiano.

 

La supervisione centrata sul caso si connota come uno spazio tempo in cui il gruppo comprende- nell’etimo “prende insieme”- e riflette, cioè può osservarsi nei suoi comportamenti e modificarsi evolutivamente per meglio comprendere i suoi assistiti. La specificità del gruppo istituzionale infatti non gli consente di disporre di un apparato di autoanalisi con cui contenere, selezionare ed integrare le esperienze psichiche vissute dai suoi membri. La conseguenza è che una serie di esperienze affettive e fantasmatiche possono tendere a non trovare contenimento ed elaborazione, ed a restare in uno stato scisso e non integrato.

In certi casi i singoli individui contengono al proprio interno queste esperienze con vari gradi di sofferenza individuale, più spesso tendono a farle circolare nel gruppo comportandosi in modo da indurre in altri membri esperienze analoghe o complementari, altre volte ancora le proiettano, coartando in varia misura i propri vissuti e vivono con la presenza di un senso di peso oscuro e poco comunicabile (Correale, 1991).

Da qui l’importanza nel personale di assistenza dei sentimenti di appartenenza, di identificazione e condivisione. Questi affetti verso il gruppo devono essere continuamente nutriti altrimenti compaiono in risposta ai vissuti appena elencati, le stereotipie organizzative (le risposte standard, l’anomia istituzionale, l’arroccamento tecnico…) le scissioni operative (tra fare, dire, progettare), le idealizzazioni del “ buon tempo antico”.

E’ a questo livello che si inseriscono i percorsi di supervisione creando le condizioni affinchè questi irrigidimenti non si realizzino o laddove già si siano insidiati si superino lasciando spazio al pensiero e all’ascolto. La discussione in gruppo centrata sulla persona permette di reinvestire di senso vitale l’intervento assistenziale e il suo soggetto nel suo contesto attuale, a partire dal livello di collaborazione di cui è capace.

 

In questo senso i gruppi di discussione sui casi hanno valenza psicosociale in quanto:
—sono gruppi centrati sulla quotidianità, fondati sul ripristino di un minimo codice consensuale di comunicazione;
—interpretano i vari sintomi come appelli o messaggi, da accogliere per poi decifrare ai vari livelli: biografici, di gruppo, curativi, di prestazione, riabilitativi, culturali per poi restituire la comprensione nei modi e nei tempi insieme concordati;
—utilizzano il lavoro di gruppo multi professionale come specularità e risonanza;
—investono tutto lo spazio vitale, dotandolo di significato.

La supervisione centrata sul caso si concretizza nella costituzione di un gruppo di discussione eterocentrato, che si incontra almeno a cadenza quindicinale. Gli incontri, solitamente della durata di due ore, sono condotti da uno psicologo o psicoterapeuta. Ogni sessione viene aperta dalla presentazione di un caso da parte di un partecipante, che focalizza l’attenzione su ciò che rende difficoltosa la relazione, comunicando le informazioni raccolte sulla persona e promuovendo la discussione e il processo di chiarificazione all’interno del gruppo.

Molti sono gli aspetti rilevanti che genera questo tipo di intervento, fra cui :
—l’operatore, nel prenotare e presentare “il caso” lascia il gruppo dei colleghi e si propone come singolo;
—nel presentare una situazione l’operatore passa dall’azione al pensiero;
—il gruppo sperimenta l’ascolto e il supporto al singolo;
—il gruppo e i singoli sperimentano la sospensione del fare per orientarsi all’ascolto e all’elaborazione.

La costituzione e la partecipazione degli operatori ai gruppi di discussione si prefigge di cominciare o continuare l’opera di appropriazione di una conoscenza relazionale che nasce e si sviluppa nel coinvolgimento corporeo ed emozionale, conoscenza che viene riflessa e drammatizzata dal gruppo e nel gruppo, per poi essere restituita in forma di parole. La dimensione del lavoro di gruppo centrato sulla presentazione del problema comporta una particolare riflessione sui movimenti affettivi e cognitivi che produce. L’evoluzione dei “gruppi eterocentrati” vuole diminuire negli operatori la ricerca ansiosa di “scampoli informativi” e vuole tentare di costruire con il gruppo il proprio modo conoscitivo e il proprio archivio clinico ed emotivo.

 

Ambiti di intervento:

—Disagio o empasse relazionale di operatori (singoli o gruppi)che si occupano di assistenza o  cura di persone che afferiscono agli ambiti dei minori, anziani, salute mentale
—Ansia, panico, disturbi psicosomatici legate a situazioni traumatiche in ambito lavorativo
—Stanchezza eccessiva, rabbia, vissuti di impotenza legate alla pandemia in corso.

 

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